Sociologa da sempre appassionata di teatro, anche scientificamente, Ilaria Riccioni ascrive al teatro la capacità di salvare dall’apatia e dalla perdita di senso recuperando “il senso del sacro, del mistero, della poesia, aspetti che la vita frettolosa sembra relegare nella soffitta delle realtà inutili, che però danno un senso al breve viaggio dell’esistenza”. Da quest’anno la professoressa Riccioni è membro del cda del Teatro Stabile.
Cosa significa questa nomina per Lei e per la LUB?
Personalmente questa nomina arriva come un riconoscimento del lavoro svolto sul territorio e in particolare in relazione al Piano Sociale della città di Bolzano. Significa per me quindi che il territorio risponde alla sollecitazione critica avviata con la ricerca e con il Piano Sociale, riconosce il lavoro fatto e accoglie costruttivamente anche gli aspetti critici, rilanciando con la proposta ad entrare nel vivo, anche della vita culturale della città di Bolzano. Per la LUB è una occasione ulteriore di radicamento e partecipazione alla vita della città, offrendo la propria potenzialità culturale di ricerca come strumento di crescita non solo dell’istituzione universitaria, ma anche del territorio. Un’occasione per dialogare e crescere insieme culturalmente e criticamente.
Quale contributo pensa di poter portare all’interno dell’attività dello Stabile?
Il mio contributo all’attività dello Stabile è tutto da sperimentare e sarà il frutto di un processo di conoscenza reciproca. In ogni caso le mie competenze di sociologa, non da oggi, riservano una forte attenzione ai fenomeni artistici come sintomi del mutamento sociale.
La maggior parte delle mie pubblicazioni sono incentrate sul ruolo sociale dell’arte, sull’arte d’avanguardia come sintomo e sprone del mutamento sociale, l’atto artistico che anticipa i bisogni della società contemporanea e se ne fa talvolta espressione. La mia stessa tesi di laurea in sociologia fu una tesi sull’espressività del linguaggio nell’opera di Antonin Artaud, francese con origini greche, surrealista del primissimo periodo e rivoluzionario del teatro che visse nella prima metà del ‘900. Autore, regista, attore, scrittore, commediografo controverso, lucido e visionario, alla ricerca del linguaggio integrale del teatro come espressione della necessità, Artaud è stato autore di sperimentazioni sulla soglia tra oriente e occidente: saranno poco amate e ritenute eccessive nel suo tempo, ma dopo di lui il teatro non è stato più lo stesso. Artaud incarna il cardine e le origini del teatro contemporaneo.
Il teatro è stato per lungo tempo un luogo d'incontro che ha svolto un importante ruolo sociale. Qual è la sua funzione oggi, al tempo della televisione a mille canali e dell’imperversare dei social network?
Il teatro ha una magia che nessun altro mezzo può imitare: l’esperienza comune. Nel teatro la vita dello spettatore e dell’attore si incrociano in una comunanza speciale, ogni pièce teatrale è sempre diversa, ogni spettacolo ha una risonanza unica, non è mai uguale a se stesso, perché non è standardizzabile, è profondamente legato all’esperienza ed al vissuto, al corpo, alle condizioni che collettivamente tutti i partecipanti sperimentano per il tempo della rappresentazione. Il teatro è un processo alchemico che si consuma ogni volta in maniera diversa.
Cosa può dire oggi il teatro nell’era del virtuale? Quel che ha sempre detto, né più né meno. Avrà forse meno pubblico, ma questo dipende anche dalle contingenze, dalle scelte strutturali, dai mezzi a disposizione, dall’accessibilità, dalla capacità di intercettare o di coinvolgere la curiosità dei cittadini. Il teatro può ripercorrere a ritroso le radici della propria essenza e rinascere nel linguaggio dell’uomo contemporaneo, come ogni tipo di arte.
L’uomo contemporaneo, distratto da mille stimoli e inconsapevole di se stesso, può recuperare il senso del sacro, del mistero, della poesia: tutti quegli aspetti che la vita contemporanea frettolosa sembra relegare nella soffitta delle realtà polverose e inutili che, però, danno un senso al breve viaggio dell’esistenza e salvano dall’apatia e dalla perdita di senso. Il teatro oggi, se riesce a toccare le corde del contemporaneo, può contribuire a rafforzare il senso della vita in comune, rileggere in senso critico i valori di una società, evocare aspettative date per perse o realtà lontane, rivalutare il valore della presenza, della partecipazione, che il virtuale tende a sfumare nell’indistinto, nello standardizzato e nella freddezza di un rapporto con la tastiera. Nulla in contrario, tutto ciò è parte della vita contemporanea, ma per rimanere padroni dei mezzi che si usano, invece di farsi usare da essi, la dimensione di crescita dell’individuo e della maturazione dei suoi valori in un contesto collettivo attraverso l’esperienza, rimane fondamentale.
Nel teatro si può evocare la festa collettiva, l’atmosfera della comunanza intorno a un momento emotivo e razionale a un tempo, che crea vissuto ed esperienza: il teatro evoca la vita, gli individui, le collettività, e qualsiasi forma essa possa prendere. In questo senso il teatro è uno dei mezzi di osservazione della società e delle sue culture, e può rappresentare oggi uno degli strumenti di riappropriazione della nuova comunità, anche digitale, che avvia un percorso verso l’individuo consapevole, un modo di guardarsi gli uni gli altri, in contrapposizione alle tendenze di esternazioni comunicative spesso caotiche, ridondanti e forse anche impersonali indirizzate a un individuo generalizzato dunque inesistente.
(cde)